Elezioni: quelli che non ci stanno
Quasi un elettore su quattro si è defilato dalla competizione nelle urne. Con l’astensione, annullando la scheda o lasciandola in bianco. Circa 10 milioni di persone. E adesso?
«E tu voti ancora? La libertà è un valore troppo grande per entrare in un’urna». Come dare torto a questa domanda e risposta di un manifesto di giovani libertari? E, infatti, il 22,6 per cento degli elettori per la camera dei deputati e il 24 per cento di quelli per il senato non hanno votato oppure hanno annullato o non segnato le schede.
Come interpretare questo «distacco» dalla competizione elettorale. E soprattutto come leggere la scomparsa della coalizione della sinistra dai banchi dei «rappresentanti del popolo»?
Sicuramente ha giocato la disillusione dei tanti che solitamente votano a sinistra dopo l’esperienza negativa del governo guidato da Romano Prodi. Ma questo elemento, sicuramente importante, non basta a spiegare la sonora sconfitta di bertinottiani e compagni.
No, c’è qualcosa di più profondo. Almeno in una parte non irrilevante dei riottosi alle urne. C’è un ritorno di consapevolezza che esprimendosi nel rifiuto comincia (o continua) a pensare un modo diverso, alternativo di fare politica.
La politica istituzionale non è in grado di soddisfare chi non vuole dare deleghe in bianco. Oggi, infatti, quando si vota si rilascia una sorta di assegno con la sola firma a un destinatario che metterà la cifra che vuole sul titolo di legittimazione rilasciato dagli elettori.
Insomma, un atto di fiducia cieca. E tanti, quasi un elettore su quattro, hanno capito che quella fiducia è immeritata.
La destra al potere
Certo, obietteranno molti, ma con quelle astensioni si è facilitato il ritorno nella stanza dei bottoni di un signore che precedentemente aveva usato molte volte il potere per sistemare questioni fiscali e penali personali o dei suoi amici. Che ha definito «eroe» un suo uomo di fiducia condannato per associazione mafiosa. Che ha depenalizzato il falso in bilancio… e tante altre amenità.
Bene, ma è proprio questo che fa premio in una parte consistente di italiani. E anche di questo bisogna tenere conto. E poi la sinistra partitica è molto meglio? Difficile affermarlo. Soprattutto se si guarda lo scontento che serpeggia nell’elettorato cosiddetto progressista.
Nel frattempo si accentua il processo di divaricazione della società italiana. Da una parte quelli (tanti) che hanno redditi sempre più elevati capaci di dribblare il processo inflazionistico e dall’altra i (tantissimi) percettori di redditi fissi sempre più erosi dal costo della vita assieme a coloro che il reddito ce l’hanno ora sì ora no. La compagine sempre più affollata dei precari, soprattutto giovani. Ma non solo.
Il dato (sembrerebbe un non senso, ma non lo è) meno ovvio di queste elezioni è che molti di coloro che non hanno redditi elevati si sono affidati a chi non farà i loro interessi (neanche la sinistra lo fa nei fatti). Una sorta di «sogno»: il ricco farà stare bene anche noi.
Gli emuli di Andrea Costa
E poi avete fatto caso alle parole d’ordine di chi si collocava alla sinistra della Sinistra arcobaleno? Leader che, forse senza nemmeno saperlo, riecheggiano le motivazioni con cui Andrea Costa, primo socialista entrato nel parlamento del Regno d’Italia, chiedeva il voto dei proletari italiani. Così come avevano fatto negli anni Settanta gli ex extraparlamentari quando si sono presentati alla sfida elettorale. «Portare la voce dei lavoratori nelle aule dominate dalla borghesia» e altre amenità di questo genere, dopo che per anni avevano gridato «è la lotta non il voto, è la lotta che decide».
Incredibile, ogni volta c’è qualcuno che accusa i suoi ex compagni di «avere tradito la causa» e si propone di rappresentare i veri valori, i veri interessi delle classi meno abbienti. Questa volta, però, il richiamo non ha funzionato: tutti a casa.
Siate realisti, chiedete l’impossibile
Molti accusano l’astensionismo perché sterile. Non produce effetti e lascia intatto il sistema di potere. Messa così sembra tutto vero. Ma chi l’ha detto che le forme della politica debbano esaurirsi nel rituale delle urne? Chi l’ha detto che la delega in bianco sia la forma migliore per gestire una società complessa come quella in cui viviamo? Chi l’ha detto che tutto debba esaurirsi nel far parte di un gregge che ogni quattro anni (questa volta anche meno) va a scegliersi un padrone?
Qui non si vogliono lanciare proclami (non sarebbe proprio il caso), ma alimentare quel sano dubbio, quella sana diffidenza verso chi pretende di rappresentarci.
Certo, l’alternativa è difficile e, soprattutto, richiede impegno, però abbiamo una sola vita e viverla pienamente, consapevolmente, padroni della propria esistenza non è una cosa da scartare. Anzi.
E qui, per il momento, ci fermiamo. Ma sui prossimi numeri riprenderemo questo argomento. Centrale per chi vuole percorrere, come diceva il grande Martin Buber, i difficili «sentieri in utopia».
di
Luciano Lanza