La verità contraddittoria
Del caso Travaglio-Schifani si è già detto tanto; dal mio punto di vista, sarebbe più corretto chiamarlo caso Schifani, poiché la questione scottante riguarda i suoi rapporti con persone condannate per mafia o per concorso esterno in associazione mafiosa (meglio esser precisi) e non il fatto che Marco Travaglio lo dica.
Gli intelligentissimi tromboni che si ergono a difesa del povero Schifani usano fondamentalmente 3 generi di argomentazioni per esprimere il proprio sdegno bipartisan:
1. quello di Travaglio è un attacco politico per minare il dialogo tra maggioranza e opposizione;
2. quella di Travaglio è una condotta giornalisticamente scorretta per l’assenza di contraddittorio durante le sue dichiarazioni;
3. i fatti raccontati da Travaglio risalgono alla fine degli anni 70, mentre Vadalà e D’Agostino sono stati incriminati e processati circa 20 anni dopo.
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza ed analizziamo queste argomentazioni. Ad esempio, supponiamo che la prima sia vera e chiediamoci a chi gioverebbe la rottura del dialogo tra le forze politiche. A Travaglio? Ne dubito. Ci dovrebbe essere, dunque, un mandante, una persona o una lobby che abbia spinto Travaglio a fare quelle dichiarazioni. Se così fosse, ci sarebbe qualche giornale e/o qualche media che si spenderebbe in difesa del giornalista, ma così non è.
Per questi motivi, la prima argomentazione sembra piuttosto inverosimile. Passiamo alla seconda. Si contesta a Travaglio il fatto che, durante le sue dichiarazioni, non ci fosse una parte pro-Schifani che potesse garantire il contraddittorio. Anche in questo caso, l’argomentazione è piuttosto debole: come stiamo notando in questi giorni, Schifani non ha bisogno di alcun contraddittorio per difendersi, la maggioranza dei politici ha fatto quadrato attorno a lui e lo difende.
I toni usati da Travaglio, inoltre, non erano per nulla quelli di un attacco; il giornalista NON HA DETTO “Schifani è un mafioso come i suoi ex-soci in affari”, ma solo che sarebbe stato opportuno che il neopresidente del Senato spiegasse agli elettori queste frequentazioni, cosa che non è stata mai fatta.
La lamentata assenza di contraddittorio, inoltre, non è per niente scandalosa, è normalissimo che una persona faccia delle dichiarazioni in TV ed altri gli rispondano successivamente; Schifani, anzi, è stato favorito dal modo in cui sono andate le cose, poiché in questo modo ha avuto modo di riflettere attentamente sulla sua replica e non rispondere a caldo, che è cosa ben diversa.
Si dice che nei telegiornali italiani il contraddittorio sia garantito, tuttavia, stando alla seconda argomentazione, la cosa non sarebbe vera; i politici, infatti, non hanno l’opportunità di poter rispondere in tempo reale alle dichiarazioni, ciò che ci viene propinato è solo un minestrone di dichiarazioni slegate le une dalle altre, senza alcuna possibilità di replica. Dove sarebbe qui il contraddittorio?
L’ultima argomentazione, poi, è la più incredibile, poiché va contro ogni logica. Secondo i succitati tromboni, Travaglio sarebbe scorretto e diffamatorio poiché Vadalà e D’Agostino sono stati condannati ben 20 anni dopo aver intrattenuto rapporti con Schifani. I succitati tromboni dovrebbero rendersi conto che una persona viene processata e giudicata per le azioni che ha commesso nel suo passato. Inoltre, il Vadalà occupava un ruolo decisionale ed è giusto ritenere che quello sia un posto che raggiunto attraverso una certa gavetta all’interno dell’organizzazione mafiosa e non da un giorno all’altro.
E’ perfettamente logico, dunque, supporre che il Vadalà ed il D’Agostino avessero a che fare con la mafia anche verso la fine degli anni 70 ed è ovvio anche che Schifani potesse non esserne a conoscenza; nessuno lo accusa di aver coscientemente intrattenuto rapporti con persone in odor di mafia, tuttavia è così difficile per il neopresidente del Senato ammetterlo pubblicamente e spiegarlo agli elettori?