Un infastidito Piero Fassino, intervistato mercoledì della scorsa settimana alla Festa dell’Unità lombarda a Suzzara, rispediva seccamente al mittente le accuse di burocratismo rivolte al processo di formazione del Partito Democratico e, nello specifico, del livello regionale lombardo. E a Savino Pezzotta, che rilanciava criticando la “cencellizzazione” del percorso fondativo, corredato di spartizioni geometriche tra livelli locali e componenti, ribatteva che è tutto “normale”, che “è stufo di leggere di fusione fredda” e di altre simili falsità. “Quando si fondono due società scattano necessariamente discussioni” sui posti disponibili della futura società unitaria. “Perché” concludeva il segretario il proprio ragionare “si chiede alla politica ciò che non è chiesto mai a nessun altro?”.
Tralasciando la specificità della politica rispetto a tutti gli altri campi del vivere pubblico, nonché il dubbio che il parallelo coi merger societari confermi anziché attenuare l’impressione che proprio ad una fusione fredda ci si stia preparando, vale però la pena di registrare i recenti eventi che hanno attraversato il pd lombardo che verrà da quel mercoledì primo agosto nella Bassa Mantovana ad oggi. Eventi che restituiscono una volta di più, intatto, il dubbio di un percorso fortemente burocratico – o di “operazione verticistica”, per descriverla come Pierluigi Bersani sull’Unità - e tutto chiuso tra le mura delle nomenklature. Tanto più che la risacca estiva ben si presta a putsch e colpi di mano da presentare, già digeriti, alle platee delle feste dell’Unità di primo autunno, sulla via delle primarie d’ottobre.
E Corsini non c’è più
La stessa sera, tra le zanzare della Bassa, Fassino faceva pubblicamente il proprio ovvio endorsement per Maurizio Martina, ventinovenne segretario regionale dei ds, già giovanissima guida della federazione diessina di Bergamo, e oggi candidato ad essere il primo segretario del pd lombardo. Contrapposta a quella di Martina, che per le primarie nazionali sta con Veltroni ma sullo scacchiere regionale ha già incassato il sostegno dei lettiani, si profilava una candidatura ingombrante, quella del sindaco di lungo corso di Brescia Paolo Corsini, anche lui diessino, che proprio lungo la giornata di mercoledì primo agosto aveva ribadito a chiare lettere la sua intenzione di candidarsi. Un uomo politico lombardo di peso, di esperienza, di relazioni solide sia nella Roma politica che nella Brescia economica e finanziaria. Un competitor di prim’ordine, insomma, per delle primarie lombarde che avrebbero visto una sfida serrata, vera. E invece, e invece in Lombardia ha finito col prevalere il modello che le dirigenze nazionali avevano sognato per l’incoronazione di Veltroni: e cioè il format della democrazia a candidato unico. Del resto, la sola ipotesi che Corsini si candidasse spaccando le linee interne delle dirigenze e delle militanze, portandosi dietro naturalmente i centri di potere pesante e le reti del cattolicesimo democratico del nordest lombardo, aveva messo in allerta le prime file lombarde che reggono i network delle tessere che contano. Da Filippo Penati a Luciano Pizzetti, tutti i king maker che avevano deciso di puntare su Martina, hanno iniziato a tessere la tela, a lavorare a far rientrare le intenzioni competitive di Corsini. Cosa
puntualmente avvenuta, in modo definitivo, la scorsa domenica. In cambio di cosa, si chiedono in molti? C’è chi giura sulla promessa di una candidatura di Corsini – dato in grande sintonia con Veltroni - alla corsa al Pirellone del 2010. Ma il sindaco di Brescia è uomo avveduto ed esperto, non può non sapere che qualunque promessa è precaria, tanto più di questi tempi.
La Milano di Fiano
Neanche il tempo di tirare un bel sospiro di sollievo per il pericolo scampato, con il rientro di Corsini nei ranghi delle decisioni univoche prese da Quercia e Margherita, e un altro pezzo di dirigenza del partito che verrà manifesta inequivocabili segni di nervosismo, nonostante il meritato relax agostano. Sulle pagine milanesi del Corriere di ieri, infatti, si poteva leggere
un’intervista a Emanuele Fiano, deputato diessino milanese storicamente legato a Piero Fassino, che corredava il suo appoggio a Martina di tanti e tali “se” e “ma” da suscitare – e quasi imporre – qualche dietrologia agostana. Tema di partenza delle perplessità di Fiano, la non “milanesità” del candidato unico alla segreteria regionale, e cioè appunto Maurizio Martina. “Non c’è un segretario regionale milanese dal 1992, e infatti si perde a Milano da quindici anni”, il sunto del Fiano-pensiero. Tema annoso e di un qualche interesse, che meriterebbe scavi sulla parallela marginalizzazione di Milano, e del nord tutto, dalla vita politica nazionale. O sull’incapacità del partito milanese di parlare la lingua dei milanesi, finendo necessariamente marginalizzato anche nelle reti del potere partitico regionale. Le parole di Fiano, tuttavia, vanno piuttosto a battere su questioni organizzative che scalderanno molto gli animi nelle prossime settimane e, soprattutto, alla ripresa dei lavori a settembre. Chiede anzitutto che siano istituite anche primarie milanesi; secondariamente che il livello provinciale e quello cittadino siano distinti, perché “sono cose diverse”; infine propone che i lettiani che sostengono Martina siano però “riconoscibili in una lista” sottolineando il rischio di cortocircuito tra un candidato pro-Veltroni sostenuto dalle truppe di Letta sul territorio. Nello stretto walzer di politichese qualcuno vuole leggere, probabilmente a ragione, un messaggio che proviene da certi ambienti diessini lombardi al momento un po’ marginalizzati – leggi: Antonio Panzeri – che chiedono un livello cittadino su cui esercitare il proprio controllo. Quel che è certo che l’invito che Fiano rivolge a Martina a chiusura dell’intervista – “uscire dalle stanze dei partiti” – avrebbe avuto bisogno di ben altro contorno per suonare convincente. Pur restando, ben inteso, sacrosanto.