I confini della Sinistra
Paolo Leon
Se leggo bene Gualtieri su Gravagnuolo (l’Unità del 14/6), la sinistra è definita dalle condizioni materiali e storicamente determinate - classe, industrialismo, stato-nazione - realizzate pienamente nel secondo dopoguerra per (casuali?) circostanze propizie. Non ho difficoltà ad usare un’impostazione di questo tipo - da materialismo storico - salvo per il fatto che la si può allungare o restringere a piacimento, a seconda della tesi da dimostrare o dei propri pregiudizi. Infatti, Gualtieri afferma che «è venuta meno la classe» perché «il capitalismo... realizza l’estrazione del plusvalore... in gigantesche fucine», in pratica in Estremo Oriente.
Ne deriverebbe che, in Europa, negli USA, in Giappone, non si estrae più plusvalore - e, perciò, o noi siamo diventati i camerieri del capitale, oppure abbiamo già raggiunto il comunismo.
Opporrei che se in Cina si estrae plusvalore, ma la Cina è in concorrenza con l’Europa, allora si estrae inevitabilmente plusvalore anche dal lavoratore europeo - che questi sia applicato alla macchina, in cucina o allo sportello. Del resto, lo sfruttamento è palese, da noi: lo dimostrano la riduzione della quota del lavoro nel reddito nazionale, la differenziazione salariale, la divisione tra lavoratori (pubblici e privati, autonomi e dipendenti, part time e a tempo pieno, donne e uomini, immigrati e nazionali, precari precari e precari provvisori, per non continuare). Tutte forme di esercito industriale di riserva, per di più presente anche in piena occupazione.
Nessuno di questi eventi è naturale: devono molto, ma non tutto, alla tecnologia; molto, ma non tutto, alla globalizzazione, molto, ma non tutto, alla cecità della sinistra e alla sua involuzione piccolo borghese. Devono moltissimo alla feroce reazione antisindacale di Thatcher e Reagan - questa sì causa del declino della sinistra.
Insomma, credo necessario uscire dal feticismo delle macchine e dal ritenere che solo il nesso classe/ macchina fosse la base della sinistra. A ben vedere, anche con poche macchine, la classe è tornata alla grande, se non quella operaia, certo quella capitalista; e non si è trovato il modo di mobilitare i nuovi sfruttati, ancorché scolarizzati, proprietari di case e lontani dalla sussistenza, abbandonandoli alla destra. Gualtieri sembra ignorare l’onda di violenza che accompagna l’espansione universale del capitalismo: la reazione di chi è lasciato indietro si manifesta nella chiusura dei clan, nel razzismo, nel fondamentalismo delle religioni, nel ritorno a mitiche identità tradizionali. Le pulsioni avverse alla globalizzazione danno luogo a populismo, tendenze autoritarie, avversione nei confronti della sinistra. Questa, in Europa, cerca di sopravvivere pensando di adattarsi alla globalizzazione, accettando la riduzione del ruolo dello Stato (e, per definizione, della democrazia) e facendo proprie le ideologie proprietarie dei liberali - mentre questi, come è spesso avvenuto, si acconciano ad accettare il populismo della destra, come male minore.
Gualtieri afferma che si esce dalle difficoltà della sinistra se:
-si uniscono i riformismi, ma non li definisce, perché non sono il risultato delle nuove condizioni materiali né sono storicamente determinati;
-si rilancia l’Europa con la costituzione, ma paradossalmente senza Stato, fondandola sul principio di sussidiarietà - un principio inventato per ridurre il potere fiscale degli Stati, e che si svolge secondo un processo di devoluzione senza fine, che ricorda Talete e la tartaruga;
-si supera l’identificazione della sinistra con lo Stato, per assumere «l’orizzonte dell’unità del genere umano», che o è il ritorno a «proletari di tutto il mondo unitevi» o è soltanto una classica osteria del futuro.
Piacerebbe anche a me che la democrazia post-nazionale fosse europea: ma ciò implicherebbe uno Stato europeo, un bilancio europeo, tasse europee, welfare europeo, politica industriale europea, banca centrale orientata allo sviluppo. Cosa c’entri con tutto ciò il partito democratico, Gualtieri lo lascia del tutto oscuro. Anch’egli, come il manifesto del PD, naufraga negli ossimori (universalismo selettivo, europeismo e esecutivo nazionale rafforzato, democrazia e meno Stato, individualismo solidale, proprietà ed eguaglianza), come quando si riempiono i fogli con il verbo "coniugare" - in genere, il diavolo e l’acqua santa.
PS. Come far entrare nel ragionamento di Gualtieri l’Unipol è veramente arduo: ritenere che si abbia ragione perché si è attaccati, implica essere molto sicuri di aver ragione - ma in quel caso non avevano ragione i dirigenti DS a rallegrarsi per l’OPA o le cooperative nel veder annacquata la storica diversità tra impresa cooperativa e impresa capitalistica.
dopo miliardi di cazzate sul riformismo e il partito democratico finalmente un pochetto di marxismo (che non fa mai male).
Gravagnuolo è sempre chiaro e lineare. Forse talvolta un po' compiaciuto, ma glielo possiamo concedere. Certo per chi perde il suo tempo a discutere della legge elettorale per le primarie della Costituente del PD, che a sua volta eleggerà il comitato della Supercazzola che varerà il PD, che a sua volta bla bla bla... certo chi vive dentro a queste spirali poi non può che avere della retta una concezione tutta curva.
Marx fa sempre bene. se non altro, alla pura logica del ragionamento umano. Marx è un filosofo. Mica paglia. Sarebbe bello citare pagine intere (pochi giornalisti anno il coraggio di farlo) dai manoscritti filosofico-economici del 44 o da L'ideologia tedesca per rinfrescare la mente non solo dei riformisti ma anche di tutti i sedicenti "liberi pensatori" (alla dedalus, per intenderci). Le cui menti sono le più incatenate.
Sarebbe bello poi leggere da qualche parte qualcuno che cita la dialettica servo-padrone dalla Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Sarebbe bello, ma non è.
basta già Gravagnuolo a farli contorcere, figuriamoci tirare fuori Marx. il fatto non è che Gravagnuolo non è lineare, è che non vogliono sentirsi dire le cose che dice, per questo lo vedono storto, ma lo vedono storto perché sono loro che sono sbilenchi. questi pensano che siccome non moriamo di fame e abbiamo il frigorifero, non esiste più plusvalore. e ne sono veramente convinti. sinistra piccolo borghese, che latra in ritardo contro i costi della politica e non si avvede dei costi del capitalismo che ci sta macinando, proprio da noi che abbiamo il decoder il frigo e l'abbonamento allo stadio e godiamo sfruttati e contenti.
"sputiamo su hegel"!
ah ah ah ah ah ah ah ah!
Sarebbe bello poi leggere da qualche parte qualcuno che cita la dialettica servo-padrone dalla Fenomenologia dello Spirito di Hegel
Perdona, berja, ma non capisco.
usa google, 'gnurant'
http://www.google.it/search?q=%22sputiamo+su+hegel%22
dunque?
dunque sei come il carabiniere della barzelletta sulla storiella che uccide chi la ascolti: muore una settimana dopo.
ah beh, ricominciamo dall fine dell'ottocento?
meraviglioso, poi, quel verso che parla dell' "estrazione del plusvalore in gigantesche fucine (asiatiche)"..ma qualche strumento di analisi un po' più attuale?
A me pare che sei tu molto ingenuo, berja. Pensi che basti il parere di una femminista per convincermi che Hegel sia un cretino. Io ho letto la Fenomenologia dello spirito per davvero, ci ho fatto esami, uno in particolare sulla dialettica servo padrone di cui parlavo. Le persone di cui leggevo "critiche" erano Hypoolite, Kojeve, ecc. Cosa credi che me ne freghi di quello scritto?
E poi cosa credi che scivesse Marx (sempre nei manoscritti del 44) sulla "donna"? Le cose peggiori che potrebbe immaginare anche Carla Lonzi. E quindi? E allora?
Berja il tuo sarcasmo è prevedibile e superficiale.
PS: per tornare a temi te cari, diversi sono i passaggi molto antisemiti contenuti nei manoscritti di Marx che spesso vengono taciuti. Diversi e inquietanti. Devo fare una ricerca su google per scandalizzarmi anche qui?
diversi sono i passaggi molto antisemiti contenuti nei manoscritti di Marx che spesso vengono taciuti. Diversi e inquietanti.
se li leggi alla lettera sei un cretino, non un marxista; si interpreta la torah, figuriamoci se non si puo' intepretare marx!
il mio sarcasmo sara' prevedibile e superficiale ma la tua postura e', al solito, quella di un liceale un po' secchione presuntuoso e stizzito.
le battute in punta di forchetta, intelligenti ed argute, le lascio a chi, come te, sente grosse contraddizioni tra cio' che vorrebbe essere* e cio' che e', a me basta guardarmi allo specchio e sogghignare invece di farmi pena.
*molto figo, very cool mentre recita una parte da burattino di terz'ordine mosso da fili che non riesce a vedere ed a sentire.
E infatti chi ti ha detto che io non interpreti? Sei tu che hai bisogno della femminista di turno per convincerti che Hegel è "de destra", e Marx è "de sinistra". Ma piantala dai, fai ridere.
"a me basta guardarmi allo specchio e sogghignare invece di farmi pena."
Intelligente, arguto, questo poi non da liceale ma da Premio Nobel.
contributo in punta di forchetta:
"e se invece sto leggendo Hegel
mi concentro, sono tutto preso
non da Hegel, naturalmente
ma dal mio fascino di studioso"
Minchia, siete dei bambini. Che tristezza. Tenetevi le vostre battutine rassicuranti da bravi anarcoinsurrezionalisti, voi sì che sapete come va il mondo.
Non ho capito in che senso il lavoratore autonomo sia sfruttato. Il capitale ce lo mette lui, il laovoro pure. Si auto-sfrutta?
La sua ascesa in molte aree del Nord Italia è il vero motivo della crisi della sinistra nel nostro paese. L'impossibilità di capirne il pensiero, attraverso l'inadeguato modello marxista appunto, è il motivo principale del tracollo al Nord.
Poi non ho una conoscenza sufficiente per fare analisi così puntuali a livello mondiale. Anzi, dubito seriamente che in un mondo di complessità enormemente aumentata dai tempi di Marx, ciò sia possibile tout-court, se non ad un grado di astrazione talmente elevato da non avere più nessun contatto con la realtà.
esatto, il lavoratore autonomo si autosfrutta perche' difficilmente e' autosufficiente.
il marxismo ha l'enorme vantaggio pratico e teorico di far comprendere le strutture economico-sociali con un punto di vista irraggiungibile dal "livello stradale".
Il concetto di plusvalore è valido ancora oggi per spiegare qualsiasi forma, o quasi di profitto aziendale. Provate ad applicarlo, nel piccolo, alla vostra azienda, ufficio, luogo di lavoro (se siete dei dipendenti). Fate i calcoli di quanto non vi viene retribuito rispetto a quanto producete e quanto quel tot va a finire nelle tasche del vostro datore di lavoro. E' solo tutto anestetizzato e reso condiviso e ragionevole. Oggi ogni impiegato sa che tale plusvalore che lui produce e non gli viene retribuito è la norma, la base, per poter essere assunto.
la dialettica servo padrone anticipava (semplciemente questo), per molti aspetti, il concetto di plusvalore poi reso evidente da Marx. per questo la citavo.